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L’astensione italiana all’euro-voto sul nuovo Patto di Stabilità rappresenta un momento emblematico della politica italiana tra Bruxelles e Strasburgo. A disconoscere le nuove regole fiscali, che sostituiranno quelle sospese durante la pandemia, c’è un fronte compatto costituito dall’intero arco parlamentare italiano, composto da Fratelli d’Italia, Lega, Forza Italia, Partito Democratico, Movimento 5 Stelle e centrist

Ogni partito ha motivazioni proprie per questa scelta, ma tutti mirano a non lasciare un’impronta definita sul Patto, eccezion fatta per poche eccezioni come Lara Comi (FI) e Herbert Dorfmann (Svp) per il gruppo del Ppe, e Marco Zullo (Renew) e Sandro Gozi, italiano di Renew, peraltro eletto in Francia con Renaissance.

Questa strategia, seppur divisiva, sembra essere stata studiata a tavolino. Giorgia Meloni, ad esempio, ha dapprima elogiato il Patto come migliorativo, ma in seguito ha criticato aspramente l’accordo. La scelta dell’astensione è stata accompagnata dalla promessa di una modifica sostanziale del Patto dopo le elezioni, con una nuova Commissione.

Anche Lega e Forza Italia hanno seguito una linea simile, con il Carroccio che ha disconosciuto la trattativa portata avanti dal ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti e Forza Italia che contraddice la famiglia europea del Ppe.

Dall’altra parte, l’opposizione non ha avuto un’opzione migliore. Il Partito Democratico, pur votando contro al gruppo del Pse e al commissario Paolo Gentiloni, è stato schiacciato a sinistra dal voto contrario espresso dal Movimento 5 Stelle europeo.

Questo scenario riflette la complessità e la sfaccettatura della politica italiana attuale, con un’opera ancora aperta in attesa del voto dell’8 e 9 giugno.

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