Il presidente russo Vladimir Putin sta attuando un’audace campagna di appropriazione delle risorse, mettendo sotto sequestro aziende nazionali e straniere. Questo saccheggio, il più grande dai tempi delle privatizzazioni degli anni ’90, ha scosso il già fragile tessuto economico russo e ha generato significative preoccupazioni a livello internazionale.

La proprietà in Russia è diventata precaria, con qualsiasi impresa, sia russa che straniera, soggetta a essere nazionalizzata con un semplice colpo di penna o una sentenza giudiziaria. Questa situazione ha aperto la strada a una corsa all’appropriazione da parte degli oligarchi vicini al Cremlino, che acquisiscono le imprese a prezzi simbolici, spesso con il solo scopo di arricchirsi ulteriormente.

La guerra in Ucraina ha amplificato questo fenomeno, con uomini d’affari russi che cercano di capitalizzare sulla situazione politica instabile. Anche le imprese straniere non sono al sicuro, costrette a rimanere sul suolo russo e a subire espropriazioni forzate o vendite a prezzi irrisori.

Questo clima di incertezza ha paralizzato molte aziende, che si trovano praticamente in ostaggio e incapaci di lasciare il paese senza subire perdite finanziarie significative. Le banche europee, ad esempio, hanno trovato impossibile disfarsi delle loro attività russe, nonostante i tentativi di vendita.

Parallelamente, i fedelissimi del regime di Putin vengono premiati con l’appropriazione di imprese redditizie. Questo sistema, basato sulla politica estera, la lotta interna al potere e una mentalità mafiosa, mina ulteriormente la stabilità economica e politica del paese.

In conclusione, il saccheggio delle imprese sotto il regime di Putin ha conseguenze devastanti sull’economia russa e alimenta le tensioni politiche sia internamente che a livello internazionale. La comunità internazionale deve vigilare su queste pratiche e lavorare per garantire la protezione dei diritti di proprietà e la stabilità economica in Russia.

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