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L’indagine che ha visto coinvolto il governatore Giovanni Toti si complica ulteriormente a causa di un errore nella trascrizione delle intercettazioni.

Il software utilizzato dai pubblici ministeri di Genova, infatti, ha interpretato erroneamente una dichiarazione cruciale di Roberto Spinelli, uno degli inquisiti. Secondo il legale di Spinelli, l’avvocato Alessandro Vaccaro, il suo cliente aveva affermato che i finanziamenti a Toti erano stati “leciti”, ma il software ha trascritto “illeciti”.

Questa discrepanza ha provocato l’intervento del Var, che ha corretto l’errore di trascrizione, riconducendo le parole al loro significato originale. Tuttavia, questo episodio solleva questioni più ampie riguardo la precisione e l’affidabilità delle tecnologie impiegate in processi giudiziari di rilievo, dove ogni parola può determinare significative conseguenze legali.

Il problema non è nuovo: casi simili sono stati evidenziati nei procedimenti gestiti da magistrati come Woodcock e Gratteri, dove errori di trascrizione o di interpretazione hanno portato a complicazioni legali e malintesi. Nel contesto attuale, la difesa ha criticato non solo l’errore di trascrizione, ma anche l’atteggiamento dei magistrati, accusati di non voler accettare prontamente la correzione proposta, evidenziando una certa resistenza nel processo di revisione delle prove.

La situazione mette in luce la crescente interazione tra tecnologia e diritto, portando a riflettere sulla necessità di garantire che gli strumenti utilizzati nei processi giudiziari siano all’altezza delle circostanze, al fine di evitare errori che possono ingiustamente influenzare l’esito dei procedimenti.

Questa esperienza suggerisce l’importanza di una verifica accurata e continua delle tecnologie impiegate, così come di un dialogo aperto e costruttivo tra le parti legali per assicurare la giustizia e l’integrità del processo giudiziario.


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