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La Corte costituzionale dell’Uganda ha confermato la legge che prevede la pena di morte per “omosessualità aggravata”, respingendo le contestazioni degli attivisti per i diritti umani. La normativa, firmata dal presidente Yoweri Museveni lo scorso maggio, ha suscitato ampie critiche a livello nazionale ed internazionale.

Nonostante le proteste e le azioni legali intraprese da diversi individui e gruppi, i giudici hanno deciso di non annullare la legge nella loro sentenza. Secondo il testo, l'”omosessualità aggravata” comprende i casi di rapporti con minori o altre persone vulnerabili, nonché quando il colpevole è infetto dall’HIV.

Le pene previste sono severe, con condanne fino a 14 anni di carcere per “tentata omosessualità aggravata” e fino a 10 anni per “tentata omosessualità”. Nonostante ciò, la Corte ha precisato che i membri della comunità LGBT+ non dovrebbero essere discriminati nell’accesso ai farmaci, sottolineando l’importanza di accettarli dal punto di vista medico e culturale.

Gli attivisti, guidati dall’avvocato Nicholas Opiyo, avevano presentato 14 motivi per chiedere il rigetto della legge, ma la Corte ha respinto le loro richieste.

Questa decisione solleva gravi preoccupazioni per i diritti umani e mette in evidenza la necessità di un maggiore impegno internazionale per proteggere le minoranze sessuali e contrastare la discriminazione. L’Uganda, come molte altre nazioni, affronta sfide significative nel garantire i diritti fondamentali e la dignità di tutti i suoi cittadini.

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