Una nuova svolta nel processo relativo alla tragedia del Ponte Morandi ha scosso l’opinione pubblica. Una perizia depositata dai consulenti di sedici imputati ha rivelato dettagli inquietanti sulle circostanze che hanno portato al crollo dell’infrastruttura, causando la morte di 43 persone nel 2018.

Secondo il documento, il crollo è stato accelerato da cavità presenti nella struttura che hanno favorito la corrosione dei tiranti. Questo difetto costruttivo, noto fin dai tempi della costruzione, è stato deliberatamente omesso dai registri del cantiere e dai documenti ufficiali, impedendo così l’adozione di misure preventive da parte dei gestori.

Le immagini acquisite durante la costruzione del ponte, integrate nel dossier difensivo, dimostrano che correttivi erano stati adottati già negli anni ’60 per affrontare questo problema, ma tali correzioni non sono state riportate nei registri ufficiali.

La perizia evidenzia che la perdita di sezione dei tiranti, causata dalla corrosione, è stata un fattore chiave nel crollo. In particolare, le rotture si sono verificate principalmente nelle cavità esistenti, evidenziando un livello di corrosione anomalo rispetto alle altre parti strutturali.

Inoltre, emerge che il progettista del ponte, Riccardo Morandi, potrebbe aver avuto conoscenza di questi difetti, ma non li ha resi noti. Ulteriori dettagli indicano modifiche non autorizzate nel rivestimento dei cavi primari, che avrebbero dovuto essere approvate dallo stesso Morandi.

Queste rivelazioni gettano nuova luce sulle responsabilità legate alla tragedia e sollevano interrogativi su chi avesse effettivamente conoscenza dei difetti strutturali. Mentre il processo continua a cercare giustizia per le vittime, il dibattito pubblico si concentra su come tali errori possano essere evitati in futuro, assicurando la sicurezza delle infrastrutture.

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