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Durante il processo per la tragica morte di Giulio Regeni, il ricercatore italiano scomparso al Cairo nel 2016, il Procuratore aggiunto Sergio Colaiocco ha presentato dieci punti cruciali che accusano direttamente quattro agenti dei servizi segreti egiziani di sequestro, tortura e omicidio.

Questi elementi, descritti come “definitivi” dalla procura, gettano una luce sinistra sulle circostanze che hanno portato alla morte di Regeni, delineando una realtà in cui sorveglianza, depistaggi e violenze si intrecciano in una vicenda di diritti umani violati.
I video di sorveglianza mancanti, i dati estratti dal computer di Regeni, i tabulati telefonici e i tentativi di depistaggio orchestrati dalle autorità egiziane costituiscono la spina dorsale di questa accusa, evidenziando una premeditazione e un coinvolgimento degli imputati che va oltre ogni ragionevole dubbio. Inoltre, emerge il quadro di una “ragnatela” sempre più stretta tessuta attorno al ricercatore, con perquisizioni clandestine, pedinamenti e informazioni raccolte tramite conoscenze di Regeni, tutte azioni che hanno condotto gli imputati a credere, erroneamente, che fosse una spia.
Il processo vede la richiesta di testimonianze di alto profilo, inclusi il presidente egiziano al-Sisi, l’ex premier italiano Matteo Renzi e altri importanti esponenti politici e dei servizi segreti. Questa fase cruciale del procedimento richiederà una cooperazione senza precedenti tra Italia ed Egitto, come sottolineato dal procuratore Colaiocco, che invoca l’azione della Farnesina per garantire la collaborazione necessaria alla giustizia.
Il caso Regeni continua così a rappresentare un punto di frizione tra Italia ed Egitto, non solo sul piano giudiziario, ma anche su quello diplomatico e dei diritti umani. La risoluzione di questo caso e l’accertamento delle responsabilità sono fondamentali non solo per fare giustizia per Giulio Regeni, ma anche per inviare un messaggio chiaro contro la violenza e l’impunità.

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