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Sale a 67 il numero delle vittime del naufragio del barcone carico di migranti nelle acque di Steccato di Cutro. Il ritrovamento è avvenuto in mattinata. L’ultimo corpo, in ordine di tempo, ad essere stato recuperato dai soccorritori che stanno operando nella zona della tragedia, è quello di una bambina.

“Perché non siamo usciti? Non è così il discorso. Dovreste conoscere i piani, gli accordi che ci sono a livello ministeriale. Le nostre regole di ingaggio sono una ricostruzione molto complessa non da fare per articoli di stampa. Ci sarebbe bisogno di specificare molte cose su come funziona il dispositivo per il plottaggio dei migranti, da che arrivano nelle acque territoriali a che poi debbano essere scortati o accolti: le operazioni le conduce la Gdf finchè non diventano Sar. In questo caso la dinamica è da verificare”. Così il comandante il Comandante della capitaneria di porto di Crotone Vittorio Aloi. Oggi la camera ardente nel Palamilone, il palazzetto dello sport di Crotone dove sono state collocate le bare delle vittime del naufragio. Il Comitato 3 ottobre, organizzazione nata dopo la tragedia del 2013 di Lampedusa, impegnata da anni nell’identificazione delle vittime dei naufragi nel Mediterraneo, ha chiesto al capo dipartimento per le Libertà civili e immigrazione, al commissario straordinario per le persone scomparse e alla prefetta di Crotone di procedere all’identificazione delle vittime del naufragio avvenuto a Steccato di Cutro prima della loro inumazione. “Così come è avvenuto in altri tragici naufragi, in virtù del protocollo di Lampedusa e grazie al fattivo e instancabile lavoro dell’Istituto Labanof (Laboratorio di Antropologia e Odontologia forense dell’università di Milano), l’identificazione dei cadaveri dei naufragi è possibile – spiegano i promotori del comitato- . E’ indispensabile che prima della sepoltura vengano massimizzate le informazioni in previsione di una futura identificazione tramite “match” tra i dati post mortem e ante mortem. Chiediamo a tutte le autorità di applicare, in assenza di un protocollo specifico, il protocollo Dvi (DisasterVictimIdentification) di Interpol, che, prevede: rilievi fotografici, repertazione indumenti ed effetti personali ed esame autoptico e odontologico“. “Anche le famiglie delle persone decedute o disperse dovrebbero essere considerate vittime dei medesimi naufragi e dovrebbero essere coinvolte il più possibile dalle autorità nel processo di identificazione e di inumazione – ha detto Tareke Brhane, presidente del Comitato 3 ottobre – . Non vorremmo che, anche in questo caso, queste persone rimanessero dei numeri e delle vittime senza nome. Questo ennesimo naufragio ci fa tornare con la memoria ai naufragi del 3 e 11 ottobre 2013. Naufragi che scossero le coscienze del nostro continente, mettendo a nudo le conseguenze dell’assenza di una reale politica migratoria. Purtroppo a distanza di dieci anni si continua a morire nel Mediterraneo perché, ancora una volta, si preferisce proteggere i confini e non le persone”.

ANSA


stefanodemartino@gmail.com'

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