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Negli anni Novanta, lungo le strade dell’Emilia Romagna, esplose una cruda realtà: la prostituzione. Questo fenomeno portò con sé una violenta “guerra” tra bande di protettori, con gravi conseguenze per le vittime dirette e la sicurezza pubblica.

Il mercato della prostituzione si estendeva lungo la statale Adriatica, da Ravenna a Cervia, e lungo la via Emilia, da Castel Bolognese alla periferia di Forlì. Le giovani provenienti dalla Romania e dall’Albania, in fuga dai regimi totalitari, erano sfruttate e costrette a lavorare nelle piazzole, dove aspettavano i clienti.

Ciò scatenò una vera e propria “guerra” tra bande di protettori, culminando in agguati e omicidi lungo le strade. Le ragazze provenienti dall’Austria furono tra le prime straniere a raggiungere la zona, ma presto furono schiavizzate da chi le accompagnava, trasformando il rapporto sentimentale in sfruttamento.

Successivamente, le strade furono invase da ragazze provenienti dall’Africa centrale, come Nigeria e Togo, e dall’Europa orientale, soprattutto Albania e Romania. Queste giovani donne subirono violenze fisiche e morali indicibili, diventando vittime di un sistema crudele.

L’intervento delle autorità locali e delle forze dell’ordine fu necessario per contrastare il problema, ma non evitò episodi di violenza e omicidi. La prostituzione lungo le strade principali divenne un problema di ordine pubblico, con divieti di sosta e approccio alle prostitute.

Questa triste realtà degli anni Novanta rimane un ricordo doloroso nella storia della regione, evidenziando la vulnerabilità delle persone coinvolte e la necessità di un’impegno costante per contrastare lo sfruttamento e proteggere i più deboli.

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